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Testimonianza per il Forum 2018

In ricordo di Sergio
10 Giugno 2020

Testimonianza per il Forum 2018


Fino a dieci anni fa l’unica persona dichiaratamente omosessuale che avessi conosciuto era il professore d’università con il quale mi laureai. Durante i miei studi lessi in un suo libro come, dopo anni di Azione Cattolica, egli avesse finito per allontanarsi dalla Chiesa perché, diceva, “non posso restare là dove mi si considera un mostro”. Quella frase mi ferì e mi rimase dentro. Amavo la Chiesa e non mi pareva ch’essa considerasse “mostri” gli omosessuali, ma incominciai a percepire allora quanta sofferenza potessero provocare certe affermazioni, quale peso sulla vita di persone già ferite potessero avere certi pronunciamenti, anche se detti o scritti a fin di bene. Soprattutto pensavo: che peccato che questi siano talvolta in grado di allontanare dal potere straordinariamente liberante del Vangelo, di neutralizzare la buona notizia di un Dio “amante della vita” (Sap 11,26) in tutte le sue forme e in tutti i suoi volti: un Dio di fronte al quale poter essere se stessi nella verità, senza maschere né paure, sapendosi profondamente amati per ciò che si è.

Quando circa dieci anni fa il Gruppo Kairòs (cristiani omosessuali di Firenze) chiese alla nostra comunità ospitalità per un percorso biblico di lectio divina, ne fummo felici e ci parve di leggere in questa proposta una chiamata di Dio. Fu per noi l’invito ad “allargare la tenda” (Is 54) per fare sempre più l’esperienza di quello che la Chiesa, secondo una bella espressione di don Primo Mazzolari, dovrebbe essere: “focolare che non conosce assenze”, perché in essa ogni figlio/figlia di Dio, qualunque situazione viva, può sentirsi a casa. Il nostro desiderio di “sorelle”, fin dall’inizio, è stato proprio questa: far sentire a casa chi a tutti gli effetti “è di casa”. A volte sentiamo parlare della necessità di “accogliere” i cristiani Lgbt nella chiesa, quasi si trattasse di lasciar entrare persone estranee, lontane, “di fuori”. Ma non è così; si tratta piuttosto di vivere una comunione autentica, perché chi è “di casa” non sia tentato di allontanarsi, non si senta “respinto” a causa del proprio orientamento sessuale, non si giudichi né escluso dallo sguardo d’amore di Dio né esonerato da un percorso di crescita nella relazione con lui.

Di questi dieci anni di cammino col Gruppo Kairòs la nostra comunità non può oggi che ringraziare. Essi sono stati innanzitutto per noi motivo di conversione, perché ci hanno allontanate dalla tentazione, sempre in agguato, di ragionare per categorie astratte senza incontrare le persone: all’etichetta “lgbt” abbiamo potuto sostituire volti e storie concrete che nel tempo abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Da parte nostra non abbiamo fatto altro se non accompagnare e incoraggiare, con molta discrezione e rispetto, quasi “in punta di piedi” ma non senza coinvolgimento e passione, cammini di fede adulta che ci hanno testimoniato una ricerca sincera della volontà di Dio e una straordinaria sete della sua Parola d’amore. Insieme abbiamo pregato, con una fedeltà che tante volte ci ha commosse : pioggia, neve, lunghi viaggi in auto o in treno non sono mai stati di impedimento alla partecipazione ai momenti di preghiera (c’è chi viene regolarmente da Verona a Firenze anche solo per la lectio divina del dopocena). Insieme abbiamo condiviso sofferenze (spesso acute) e gioie. Insieme abbiamo camminato, senza la pretesa di sentirci “a posto” di fronte a Dio (e chi potrebbe esserlo?), ma chiedendo il suo aiuto per crescere in quella capacità di amare che sola può regalare pienezza alle nostre vite.

In relazione a questa chiamata all’amore che connota la dignità di ogni essere umano e a partire dalla nostra esperienza, ci preme ora sottolineare due cose: Il Signore ci chiede di amare il prossimo come noi stessi; bisogna amarsi per poter amare. Ascoltando numerose storie di persone lgbt abbiamo scoperto che la prima grande sofferenza nella loro vita è data dalle difficoltà che incontrano nel percorso, solitamente lungo e travagliato, di accettazione di sé. Se la fede cristiana, che è fondata sulla consapevolezza dell’amore di Dio per ciascuno di noi, non riesce spesso in questo ad essere d’aiuto o addirittura fa da freno all’autoaccettazione, vuol dire che le nostre comunità hanno bisogno di conversione. L’esperienza dell’amore di Dio passa infatti necessariamente attraverso gli altri; abbiamo tutti bisogno di sguardi che ci aiutino a scoprire la nostra bellezza, che ci confermino nel nostro valore, che ci aprano gli occhi su quella preziosità che deve condurre ciascuno, nessuno escluso, a cantare con il salmista: “ti lodo, Signore, perché mi hai fatto come un prodigio” (cf. sal 139,14). Le nostre comunità cristiane, che spesso hanno condannato al nascondimento le persone lgbt presenti al loro interno, lasciando esistere il sospetto di un sottile legame tra condizione omosessuale e perversione morale, debbono riconoscere oggi la propria responsabilità e domandare a Dio la grazia di recuperare uno sguardo simile al suo, uno sguardo sempre benedicente. Noi sogniamo che venga il giorno nel quale non sarà più necessaria una “pastorale per le persone omosessuali”, perché queste potranno trovarsi a proprio agio in ogni ambiente ecclesiale, mostrandosi per quello che sono senza vergogna, senza timore di derisioni, di emarginazioni o perentorie condanne.

Se riteniamo fondamentale questa conversione pastorale, nella quale molti di noi sono impegnati e che sta offrendo segni incoraggianti, siamo anche convinte che questa non basti. Crediamo che la teologia sia chiamata oggi a ripensare con coraggio, secondo la sua specifica vocazione alla ricerca, le questioni morali relative al mondo lgbt. Non siamo ingenue; siamo coscienti della complessità di tali questioni e sappiamo bene come indebite semplificazioni non giovino a nessuno. Crediamo anche di avere chiare le esigenze radicali che la santità, vocazione di tutti, omosessuali ed eterosessuali, richiede: non siamo certo per quella banalizzazione dell’amore e della sessualità alla quale la morale cattolica si è sempre giustamente opposta. Siccome però sappiamo che tale morale nasce non dalla paura di amare, ma dalla volontà di aiutare le persone ad amare di più e ad amare meglio, ci pare legittimo, anzi doveroso, chiederci se, allo stato attuale, essa consenta realmente questo alle persone lgbt. Non ci sembra onestamente sia così; ci pare che sia urgente un ripensamento teologico alla luce, come sempre, del Vangelo e dell’umana esperienza, e dunque nell’ascolto e nel dialogo con tanti, a incominciare dalle persone omosessuali e dalle loro famiglie.

Attraverso il Gruppo Kairòs la nostra comunità ha avuto modo di incontrare e ascoltare numerosi genitori credenti di persone omosessuali e questa è stata per noi un’ulteriore grazia. Molti di loro ci hanno raccontato come per amore dei propri figli essi abbiano accettato di rimettersi in cammino, si siano trovati a interrogarsi in profondità, a rimettere in discussione convinzioni e certezze, fino ad arrivare, dopo percorsi carichi di fatiche ma anche di luce, a dirsi oggi rinati a vita nuova: genitori rigenerati dai propri figli a una paternità e maternità che diventano dono per tutti, aiuto prezioso per altre famiglie nella stessa situazione ma anche per tutta la chiesa, che non può illudersi di essere maestra se non facendo spazio al proprio cuore di madre.

Concludo. Quando entriamo in convento, il Signore ci promette, tra il resto, che, lasciate case, fratelli, sorelle e madri, ne riceveremo il centuplo. Oggi siamo felici che in questa famiglia estremamente variegata e non certo “normale”, quale è la nostra famiglia religiosa, fatta di vincoli forti di comunione con tanti, ci siate anche voi, fratelli e sorelle lgbt. Continueremo a camminarvi a fianco, non con l’intento, come ebbe a dire Paolo ai Corinzi, di far da padroni sulla vostra fede, quanto di essere collaboratrici della vostra gioia. (cf. 2 Cor 1,24).

Articolo scritto per il V Forum Nazionale del Cristiani LGBT di Albano Laziale e pubblicata nel libretto Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo di loro, Gruppo Editoriale Viator, Milano 2019 (p. 35-42).